Union Pacific: Anno 1868
- Categoria: Timeline
- Pubblicato: Martedì, 04 Febbraio 2020 10:29
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Aprile, 7: | raggiunto lo Sherman Summit |
Aprile, 23: | completato il ponte sul Dale Creek |
Maggio, 12: | incidente nell’attraversamento del North Platte |
Luglio, 21: | ultimato il ponte sul North Platte. |
Tutti volevano la ferrovia transcontinentale, e l’ansia di disporre di questo nuovo collegamento tra est ed ovest si percepiva dall’enorme attenzione che i giornali davano all’evento, che trovava spazio ogni giorno nei quotidiani dell’epoca e che metteva in agitazione i commercianti di tutti gli Stati. Frotte di uomini d’affari erano pronti a invadere la California con i loro prodotti e servizi, e maree di persone volevano lasciare la Costa Occidentale per fare ritorno alle loro case senza affrontare l’impervia navigazione attraverso Panama. Attraversare il paese sarebbe costato circa cento dollari, invece dei mille che richiedeva l’attuale via marittima o quella delle diligenze.
Una settimana di viaggio anziché mesi di tedioso arrancare.
La notizia dell’avanzamento della ferrovia occupava anche spazio nei notiziari europei: un veterano della Guerra Civile, il colonnello W. Heine, presentò la sfida transcontinentale alla Società Geografica Francese lodando il coraggio, la tenacia e i risultati conseguiti dal suo paese. Rese omaggio a Lincoln, che “aveva avuto l’onore di firmare le assegnazioni di terra per la più grande ferrovia del mondo con la stessa penna che aveva decretato l’abolizione della schiavitù”.
Ma tanta attenzione e tanto interesse portavano irrimediabilmente anche tante critiche per le due società, accusate di aver adottato un sistema di produzione al risparmio. Se la Union Pacific era criticata per la scelta dei materiali e la qualità della costruzione, la Central Pacific veniva accusata di eccessiva lentezza nella stesura dei binari, e in generale veniva criticato il metodo della gara che non premiava un buon lavoro ed incentivava la trascuratezza.
Non tutti erano della stessa opinione, una testata dello Utah sosteneva invece che gli straordinari risultati raggiunti erano merito proprio della competizione tra le due società, e che un’unica impresa appaltatrice non avrebbe ottenuto gli stessi traguardi, tantomeno avrebbe potuto sperare nella chiusura della ferrovia un anno prima del previsto, già nel 1869, come molti si auguravano.
In realtà serpeggiava grande ottimismo e un rinnovato senso patriottico (anche considerando che reggimenti di trionfanti nordisti, di ritorno dalla guerra, ora lavoravano alla UP), e gli americani stavano dando una dimostrazione di tenacia e determinazione mai vista prima. Lo stesso Dodge sentenziava che
“[…] non c’era problema finanziario o relativo allo sviluppo del paese così grande
che il suo popolo non fosse in grado di affrontare e padroneggiare”.
Il Wyoming si presentava come una sfida abbordabilissima e dall’immenso ritorno economico, e l’entusiasmo di Dodge passò dal campo di battaglia a quello dei posatori. Appellandosi ad una clausola che permetteva alle compagnie di preparare 300 miglia di linea continua in anticipo al finale della ferrovia, Dodge voleva spingere la costruzione verso ovest a tal punto da augurarsi di intercettare la Central Pacific entro la primavera del 1869, ancor prima che questa uscisse dalla California, mentre entro il 1868 avrebbe steso la ferrovia fino al Lago Salato.
Era pura follia, ma i suoi prospettori avevano già tracciato la strada fino alla California, correndo a fianco della massicciata della CP.
In un messaggio di gennaio al suo sovrintendente, Sam Reed, Dodge scrisse:
“Lei dovrà sgobbare sodo nel 1868”.
Per la UP significava stendere almeno tre miglia di ferrovia al giorno.
Tutta questa fervente operosità non sembrava impensierire troppo i Big Four, abituati alle guerre in seno alla UP causate dalla divergenza di opinioni degli stessi partecipanti, ma questo non voleva dire che prendevano sottogamba la sfida: era aperta la conquista dello Utah, e i prospettori delle due compagnie erano all’opera disegnando sul terreno due file di bandierine perfettamente parallele.
Sul terreno della Union Pacific era in corso una gara ben più pragmatica di quella con la CP, infatti oltre alla squadra che stendeva i binari della ferrovia vi era il gruppo di tecnici che posava il telegrafo, come per altro necessariamente prescritto dal contratto con il governo. Gli operai che si occupavano del telegrafo ricevevano anch’essi, come i posatori, il materiale di costruzione tramite carri merci: pali, bobine, bracci a croce e viti. L’avanzamento delle due piste doveva essere il più possibile allineato, tanto che in caso di ritardo del materiale, per non restare indietro, si era presa l’abitudine di allestire dei supporti temporanei che permettessero almeno la stesura delle bobine e dessero a Dodge la possibilità di scrivere quotidianamente i suoi ordini a New York, Chicago e Omaha.
Anche la squadra del telegrafo aveva i suoi problemi, nettamente diversi da quelli dei posatori. Le minacce più concrete erano i bisonti (che grattandosi sui pali finivano spesso per abbatterli) e il whisky (contrabbandieri seguivano fedelmente la ferrovia per tentare gli operai nottetempo con la conseguenza di innescare liti e malesseri che sfociavano anche negli omicidi).
Nonostante queste difficoltà Reed lavorava incessantemente per seguire le indicazioni di Dodge. Il 18 marzo mandò un telegramma a Crocker:
“I miei uomini hanno piantato i picchetti sui monti Humboldt. Ci incontreremo là.”
Crocker era divertito da queste ottimistiche (o presuntuose) visioni. Ad un giornalista rispose:
“Non troverà i picchetti quando ci arriverà. Troverà i miei treni.”
A ben guardare, in effetti, non c’era da essere proprio allegri: l’inverno 1867-68 fu caratterizzato da frequenti bufere di neve che impedirono la prosecuzione dei lavori fino a primavera inoltrata. Lo stesso Reed rimase bloccato per giorni nello Sherman Pass, e i lavori poterono riprendere solo in primavera poiché ci vollero quasi due settimane per sgomberare la sede ferroviaria dalla neve caduta. Il 7 aprile la Union Pacific posava le rotaie sullo Sherman Summit, a 8242 piedi di altitudine, la più alta vetta ferroviaria del continente, e già dal giorno dopo i lavori di posa continuavano, in direzione Dale Creek.
Dale Creek rappresentava una grande sfida per la UP, poiché richiedeva la stesura di un ponte per attraversare il torrente. Come fatto in passato, venne fondata la cittadina di Dale City per supportare il personale dedicato alla costruzione.
Il 23 aprile il ponte venne completato, lungo 700 piedi e alto 126 sul letto del fiume, il ponte più alto mai costruito dalla UP. Il progetto era di per sé veramente molto audace, un ponte fatto interamente di legno e sufficientemente robusto da affrontare il peso dei treni in transito e, da non dimenticare, le terribili raffiche di vento che tempestavano il Wyoming, e che per poco non lo fecero crollare durante la costruzione.
Il morale della UP, con il ponte di Dale Creek alle spalle, era alle stelle. In poco tempo la compagnia era già all’opera sulla tratta successiva che portava a Laramie, e nel frattempo la massicciata era già stesa fino al Green River.
Leigh Freeman, tipografo e giornalista figlio di un dipendente della Union Pacific, fondò nel 1866 il giornale “Frontier Index” e seguiva l’avanzare della ferrovia spostando il suo torchio tipografico per mezzo di un carro lungo i vari “Inferni su Ruote” che i binari lasciavano dietro di loro. Giunto a Laramie pubblicò un numero del “Frontier” in cui profetizzava Laramie come una nuova Chicago vista la crescita esponenziale degli abitanti (2000 in poco più di due settimane).
L’ostacolo successivo degno di nota per la UP era un altro fiume da attraversare, il North Platte, e questo significava un altro ponte da costruire. Venne incaricato Arthur Ferguson, topografo, che il 25 Aprile 1868 partì da Omaha verso i cantieri di costruzione. Sfruttando la ferrovia riuscì a raggiungere Cheyenne in un solo giorno, ma la sosta nella cittadina non fu di suo gradimento, paragonando l’agglomerato come un grande carnevale fatto di sale da gioco e luoghi di dubbia moralità. Coprì le restanti miglia con treni tecnici, carri e tanta paura di un attacco degli indiani, giungendo al limitare della ferrovia il 6 Maggio dove iniziò le rilevazioni insieme ai suoi collaboratori.
Il 12 Maggio avvenne un incidente nel tentativo di attraversare il fiume su un carro trainato da muli. Il conducente non aveva chiara la posizione del guado, e presto l’acqua del fiume soverchiò il carro rovesciandolo, e trascinando muli, persone e materiale sul fondo. Ferguson riuscì a salvarsi per miracolo, ma due suoi collaboratori affogarono nell’incidente e i loro corpi non vennero mai più ritrovati. Purtroppo non furono le uniche perdite del cantiere, poiché l’attraversamento del North Platte comportò altre vite sia di operai che di cavalli e muli che utilizzavano i traghetti per attraversare le sue acque. Il fiume non era l’unico elemento che metteva a rischio la vita degli operai, anzi vi erano diverse vittime tra le fila della forza lavoro. Indubbiamente la presenza di indiani creava molta agitazione, e soventi erano le incursioni dei nativi per rubare bestiame, occasioni nelle quali ci scappava il morto, spesso scalpato. Il diario di Ferguson riporta dettagliatamente le conseguenze degli attacchi e le date: 19 giugno, 20, 21, 30, 2 luglio, le incursioni non davano pace e gli operai si armavano per proteggersi, usando però talvolta le armi anche alla sera nelle risse causate dall’alcol e uccidendosi fra di loro, risultando di fatto più pericolosi degli indiani stessi.
Una vera strage.
Ferguson stesso venne sfiorato da una pallottola vagante sparata dai bellicosi operai ubriachi, ma nessuno avrebbe mai ammesso che il problema era dalla parte “civile” del conflitto: l’unico nemico che gli Stati Uniti volevano avere era l’indiano, sebbene dal 1867 i guerrieri apache erano sotto controllo e resi inermi dalla possente presenza militare lungo la ferrovia (dotati di eccellenti fucili Springfield, e non dei ruderi ad avancarica usati da sioux, cheyenne e arapaho), e i recenti attacchi erano principalmente frutto di qualche adolescente indiano che voleva mettersi in mostra con la propria tribù. Ferguson avrebbe voluto cancellare i “diavoli rossi” dalla faccia della Terra, ma non faceva che incarnare il pensiero dello stesso presidente Oliver Ames:
“Non prevedo altro che lo sterminio per gli indiani a causa della loro disposizione al furto,
e probabilmente dovremo arrivarci prima di poter gestire con sicurezza la ferrovia.”
Il ponte venne ultimato il 21 Luglio, e la carovana di operai, imbroglioni, prostitute e baristi era già in viaggio per il prossimo “inferno su ruote”, Green River, che raggiunsero il 21 Settembre.
Doc Durant stava facendo soldi a palate, e con lui tutti gli azionisti della Crédit Mobilier, le cui azioni davano un ritorno del 280% in un anno. Durant però ormai non puntava solo alla ricchezza, non era interessato solo ai soldi, voleva di più, voleva essere ricordato nei libri di storia come l’uomo che costruì la ferrovia transcontinentale. Qui nasceva il problema, però, perché se era vero che a New York Doc Durant era la ferrovia, a ovest del Mississippi il nome cui la gente riconosceva quel titolo era quello di Grenville Dodge. Dodge aveva scelto il percorso, aveva incalzato Lincoln, ed era il riferimento pratico e tecnico di tutto il personale al lavoro. Dodge era inflessibile, e a niente era valso mettergli come secondo Silas Seymour con il solo fine di allungare il percorso e mettere in discussione le scelte più ovvie in funzione di quelle più redditizie.
Il 25 Luglio a Fort Sanders, vicino Laramie, si riunirono Dodge, Durant, Grant, Sherman, Sheridan e altri generali per valutare la situazione e la plausibilità delle comunicazioni di Durant, che con il suo “ordine generale n°1” aveva rimosso dall’incarico di ingegnere capo Dodge accusandolo di aver trascurato i suoi molteplici impegni, e incaricato contestualmente Seymour di portare avanti i lavori della ferrovia. Dodge fu lapalissiano:
“Se Durant o chiunque collegato alla UP cambierà il mio percorso lascerò la ferrovia.”
Grant, che agiva come se la rielezione fosse un dato di fatto, incaricò ufficialmente Dodge di mantenere il suo incarico alla ferrovia fintantoché questa non fosse completata. Durant, spiazzato, cambiò immediatamente posizione ritirando ordine e obiezioni.
Qualche mese dopo fu comunque formata una commissione speciale con l’obiettivo di indagare sui presunti errori e manchevolezze nella costruzione della ferrovia, ma il giudizio unanime del team formato da segretario Browning fu che “[…] erano stati fatti così pochi errori ed esistevano così pochi difetti da rimanere sorpresi”. La ferrovia appariva “ben costruita” e attraversava i passi più favorevoli disponibili, applaudendo quindi l’operato di Dodge.
Durant sembrava aver perso questa battaglia, ma la ferrovia procedeva speditamente più che mai, raggiungendo il picco di 8 miglia stese in un solo giorno. Si avvicinavano al confine con lo Utah, con Jack Casement che faceva di tutto per “arrivare alla valle del Lago Salato prima delle nevi”.
Ora anche i Big Four della CP iniziavano a preoccuparsi.
Durant voleva battere la Central Pacific, ignorava le suppliche di risparmio che gli giungevano da Ames e puntava alla conquista della terra dei mormoni, con Ogden come primo obiettivo ma mirando a raggiungere la CP sugli Humboldt Wells, se non più a ovest.
Il 6 Maggio 1868 Durant giocò il suo asso, e scrisse un telegramma a Brigham Young:
“E’ disposto a stipulare un contratto per una parte della nostra massicciata tra l’inizio di Echo Canyon e il Lago Salato? Stabilisca il prezzo per iarda cubica”.
Young rispose affermativamente un’ora dopo: il suo popolo era a corto di denaro, e la sua terra provata da un’invasione di locuste che aveva distrutto i raccolti, quell’incarico era quello che ci voleva per mettere al lavoro i 5000 operai ora disoccupati che mancavano a Durant. Young dettò le condizioni, con rimborsi variabili in funzione della difficoltà del terreno movimentato, e a giugno iniziarono i lavori.
La notizia che i mormoni presto non sarebbero più stati isolati dal resto del mondo causò una immigrazione di massa dall’Europa, solo nel 1868 giunsero a Salt Lake City 3232 persone.